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Oltre la violenza

Abstract: L’articolo si propone di scandagliare la violenza in tutte le sue forme concentrando l’attenzione sia si chi la commette sia su chi la subisce

Per “mobbing” (da quello aziendale a quello familiare), “stalking”, “cyberstalking”, “body shaming”, “revenge porn”, “catacalling” ed altre locuzioni similari mutuate dall’inglese, c’è solo una parola per spiegarle o tradurle: violenza.

Violenza, un fenomeno antisociale in crescente e preoccupante aumento e che arriva in ogni ambito, si infila anche nelle pieghe della vita più intima, dove invece ci si dovrebbe e vorrebbe sentire più sicuri e accolti.

Più aumenta la violenza, dal latino “vis”, forza, (o dalla radice “vi-”, torcere, come nella parola “vimine”) e più aumenta lo stato di vittima, termine derivante dai participi passati dei verbi latini “vincire”, e, pertanto, essere legato, e “vincere”, e, quindi, essere sconfitto.

“Vittima”, la prima definizione tecnica è stata data nell’art. 1 della Dichiarazione sui principi fondamentali di giustizia in favore delle vittime di crimini e abusi di potere, proclamata dall’ONU il 29 novembre 1985: “La parola “vittime” indica quelle persone che, sia singolarmente che collettivamente, abbiano subito dei danni, ivi compreso il ferimento sia fisico che mentale, la sofferenza emotiva, la perdita economica o l’indebolimento sostanziale dei loro diritti fondamentali, attraverso atti o omissioni che violano le leggi contro il crimine, in vigore negli Stati membri, ivi comprese quelle leggi che proscrivono l’abuso criminale di potere”. Definizione che si rivede ogni volta in una donna vittima: madre maltrattata, maltrattamento psicologico a causa della violenza assistita, marito (o compagno di vita) violento, maldicenze per il suo aspetto o stile di vita, mobbing nell’ambiente lavorativo, marginalizzazione o altre manipolazioni psicologiche che la conducono alla morte interiore o addirittura a quella fisica con suicidio o omicidio.

In passato si ripetevano banalmente tanti luoghi comuni, tra cui “Chi dice donna dice danno”. Oggi il danno lo subisce la donna vittima di ogni forma di violenza da parte degli uomini della sua vita (da suo padre al padre dei suoi figli). Anche quella donna fraintesa e, perciò, violata nella sua libertà mentale, creatività gestuale, manifestazione emozionale, approccio relazionale, solo perché ha conosciuto e conquistato la sua libertà interiore e il piacere di esprimerla. Per non parlare delle donne invischiate in relazioni tossiche di pseudo-amore.

“Amore”: l’etimologia rivela l’archetipicità di questo sentimento, perché la parola “amore” non deriverebbe da altre, non è composta, la sua radice significa se stessa. Amare, perciò, significa desiderare, sentirsi trasportato verso qualcuno. Un uomo accanto a una donna dovrebbe farle da 

monte, conte, ponte, fonte... nelle figure di nonno, padre, fratello, fidanzato, marito, compagno, amico, collega...

Secondo Edoardo e Chiara Vian, esperti di coppie in difficoltà: “Spesso le coppie si ritrovano a litigare in maniera apparente su questioni economiche ma, in realtà, stanno discutendo su quale valore e significato ha per loro la gestione dei soldi. La condivisione dei significati è uno dei compiti più importanti di una coppia, ma per poterlo fare in modo proficuo si ha bisogno, prima, di costruire una relazione prevalentemente positiva. Una relazione in cui ci si scambia contenuti positivi in misura di 5 a 1 su quelli negativi (questo è uno degli indici predittori di una relazione solida secondo gli studi compiuti per anni su migliaia di coppie da parte di J. Gottman [consulente matrimoniale])”. L’avarizia di uno dei due nella coppia può determinare violenza economica e/o morale. È opportuno perciò che siano concordati preventivamente e, per quanto possibile, i contributi di ciascuno al ménage familiare, gli investimenti e quegli eventi che comportano grosse spese, in base all’art. 144 cod. civ.: “I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare […] secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”.

La violenza sulle donne è anche violenza sui bambini: i figli che restano orfani, i figli che vengono allontanati dal nucleo familiare, i figli che non saranno concepiti…

La psicologa Antonella Roppo spiega: “Il padre, in relazione a una figlia, è importante nel suo sviluppo perché influenzerà il livello di fiducia personale, la sua capacità di sentirsi a proprio agio col proprio corpo e l’orgoglio per sé nonché porrà le basi per le aspettative relative al modo in cui dovrebbe essere trattata dai ragazzi e poi dagli uomini. Il modo in cui il padre tratta sua figlia, sarà il modo in cui lei si aspetterà di essere trattata dagli uomini, di qui dipenderanno le scelte dei partner”. Un sano rapporto padre-figlia è fondamentale anche per prevenire ogni forma di violenza subita e di vittimizzazione delle donne ed è educativo per tutti. Ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavoro anche in relazione alle esigenze genitoriali, dai servizi sociali, sanitari e dalla comunità” (art. 1 della nuova Carta dei Diritti della Bambina, 30 settembre 2016).

La scrittrice Mariapia Bonanate aggiunge: “Sul versante maschile qualcosa si sta muovendo. I Centri uomini maltrattanti, a cui si rivolgono uomini violenti per essere aiutati, hanno visto aumentare le richieste. Il dramma della violenza sulle donne […] deve essere affrontato insieme, da uomini e donne, nella consapevolezza che la sua ricaduta sulla comunità è un grave danno per tutti”. Per riconoscere e risolvere il problema della violenza alle donne occorrono consapevolezza personale e comunità solidale così come richiesto a tutti i cittadini, in ogni situazione, dall’art. 2 Costituzione. 

Rilevante è altresì la normativa contro la violenza: l’Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica adottata a Istanbul, dal Consiglio d’Europa, l’11 maggio 2011 (cosiddetta Convenzione di Istanbul) con la legge 27 giugno 2013 n. 77 che, purtroppo, è ignorata nella pratica, negli spot pubblicitari, nei videoclip musicali, nelle relazioni sentimentali e in ogni altro dove in cui si assiste a una reificazione della donna e della sua corporeità (che è concetto ben più ampio di corpo).

La Convenzione OIL - Organizzazione internazionale del lavoro - n. 190 sull’eliminazione della violenza e sulle molestie nel mondo del lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019, è stata ratificata in Italia con legge 15 gennaio 2021 n. 4, anche in linea con la disciplina della Costituzione (in primis art. 3).

Ancor più determinante è la prevenzione su cui lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni scrive: “Gli studi sulle differenze di genere sono uno strumento importante per capire che cosa distingue gli uomini dalle donne e come queste differenze abbiano molte volte un’origine culturale e sociale. Capirlo ci può aiutare anche a intervenire […] per prevenire una mentalità che alimenta la prevaricazione e, talvolta, la violenza dell’uomo sulla donna. Per esempio, l’idea che l’uomo debba assumere una modalità di protezione verso la donna, giustificata un tempo con la superiorità muscolare dei maschi, si è spesso trasformata in possesso e dominio degli uni sulle altre. Come pure un’enfasi della maternità come elemento centrale, e talvolta unico, della femminilità, accompagnata a un’idealizzazione poco realistica dell’amore, ha ingenerato in molte ragazze atteggiamenti da “crocerossina” verso ragazzi (forse) belli, ma (certamente) dannati, a cui dedicarsi ciecamente per migliorarli. Questo non significa combattere gli atteggiamenti protettivi o materni come fossero soltanto condizionamenti negativi”. È significativo che nell’art. 29 lettera d della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parli di “uguaglianza tra i sessi” e non di “uguaglianza dei sessi”, perché tra i sessi ci sono e permangono differenze, per cui non ci può essere livellamento, pareggiamento o altro, ma equilibramento continuo e costruttivo. Inoltre, l’“uguaglianza tra i sessi” non è posta tra gli obiettivi educativi, ma come uno dei contenuti del “preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera”.

Quando si parla di violenza (in primis quella sessuale, artt. 609 bis e ss. cod. pen.) se ne parla soprattutto al femminile, perché è quella più eclatante e, spesso, cruenta. Non bisogna dimenticare, però, che ogni rapporto deve essere basato sulla reciprocità e sul rispetto, altrimenti non è rapporto ma altro, possesso, ossessione, dipendenza.

Infatti, un’altra forma di violenza aberrante è la pedofilia su cui lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro allerta: “Considerare la pedofilia come una semplice perversione impedisce di cogliere la complessità di un fenomeno che vede sì soggetti adulti incapaci di controllare i loro desideri (e che 

avrebbero bisogno di essere curati e messi in condizione di non nuocere), ma anche individui che considerano i bambini alla stregua di oggetti da piegare alle loro voglie o da immettere in un mercato lucroso quanto spietato. L’interesse del bambino a vivere la sua infanzia senza doverne subire la violazione per l’intrusione di adulti malati o criminali è comunque un valore da proteggere con assoluta priorità”. “Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura” (art. 19 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Una forma sempre più dilagante di violenza è quella digitale. “L’avanzata della comunicazione digitale è inarrestabile, e per i nostri ragazzi, una vita senza le debite appendici elettroniche non è vita! Il nostro compito è un altro – richiama il pedagogista Pino Pellegrino –: interpretare il nuovo che avanza, per orientarlo a nostro favore. I mezzi di comunicazione digitale di per sé sono neutri, sta a chi li utilizza scegliere di usarli in maniera positiva” (in “Disconnettiti, fuori c’è il sole! Spunti di pedagogia digitale per educatori e genitori”, 2017). Ai genitori e agli adulti in generale è richiesta quella “giusta” attenzione affinché la comunicazione digitale non diventi forma di abbandono o negligenza da parte degli adulti e “autismo virtuale” nei bambini e ragazzi.

Oltre al cyberbullismo è ancora preoccupante il bullismo, soprattutto a scuola. “I segni dell’essere vittima di bullismo possono essere differenti, discreti, ma tutti emblematici, e vanno monitorati con attenzione, specie se compaiono insieme. Si possono manifestare con un cambiamento improvviso di umore, con la decisione di non voler più andare a scuola (a differenza di qualche tempo prima), con incubi, ansia, somatizzazioni repentine e persistenti, in particolare quando è il momento di uscire di casa (mal di testa, mal di stomaco, nausee, attacchi di panico), calo nel rendimento scolastico, improvvisi scoppi di rabbia verso genitori e insegnanti, fino al tentativo di suicidio. Questi atti, se non vengono notati dagli adulti, possono dare origine a episodi di violenza, verso se stessi, ma anche verso gli altri” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci, esperto di psicologia). I genitori possono rendersi corresponsabili del bullismo sia col loro comportamento violento o inadeguato suscitando atteggiamenti bulli nei figli sia con un comportamento negligente quando non si accorgono di segnali di sofferenza/insofferenza nei figli che subiscono atti di bullismo.

Non si può ridere delle “monellerie” dei propri figli piccoli o dire, per esempio, che “se l’ha fatto, gli altri chissà che gli hanno fatto!” giustificando o minimizzando ogni cosa. Un conto è l’aggressività infantile, un altro sono manifestazioni che esprimono qualcosa di diverso, come la distruttività intenzionale o forme già di violenza, per imitazione o per averla subìta. Si ricordi che i figli crescono e, da adolescenti, rischiano di diventare dei “perfetti sconosciuti” ingestibili e non comunicativi. I genitori devono assicurare lo sviluppo dei figli (art. 27 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) che è il contrario di inviluppo: i figli vengono fuori dal grembo materno per essere educati a venir fuori dal loro inviluppo di ogni sorta e, poi, uscire di casa incontro agli altri e alla vita.

Non ci si deve solo dichiarare contro ogni forma di violenza, ma anche promuovere la cultura della non violenza, della persona, del diritto e dei diritti, in ogni modo e in ogni luogo, a cominciare dall’uso del linguaggio.

No ad ogni forma di violenza, anche a quella più sottile e larvata che si insinua nelle fibre peggio di una lama, in chi la perpetra e soprattutto in chi la subisce. No ad ogni forma di violenza, anche quella sottesa nello sguardo o nell’atteggiamento sprezzante!

Per uscire e far uscire dalla rete della violenza (ogni tipo di violenza, dal bullismo a quella domestica) bisogna creare un’altra rete intorno di persone positive, esperte o presenti e vive in un mondo di solitudine, silenzio o sordità.

La saggista Lucetta Scaraffia sostiene: “Contro violenza e stupri, bisogna ripartire da un’educazione capillare, a scuola e a casa, che insegni ai ragazzi a controllare i propri impulsi”. Bisogna tornare alla vera educazione e ripartire da essa ogni giorno, senza aggettivazioni, ambientale, digitale, sessuale o altro, ma semplicemente autentica e umana.

Già Maria Montessori proclamava: “Bisogna educare! Che l’educazione possa creare un’umanità migliore è una verità, sì, ma richiede un grande lavoro. Un lavoro forse lungo, ma tuttavia breve se considerato in rapporto a tutto il lavoro che ha già compiuto l’uomo” (1937).

Dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: “Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile”.