Sintesi: In una coppia non conta la gemellarità ma la reciprocità
Abstract: Il contributo propone una lettura degli articoli del codice civile sulla relazione coniugale partendo da alcuni spunti letterari
“L’anima gemella è il sogno di tutti, anche se nessuno sa cosa veramente significhi vivere con un’anima uguale alla propria. Le storie più belle di anime gemelle, che si incontrano in genere in letteratura, hanno avuto breve durata e una fine drammatica: così almeno è stato per Paolo e Francesca, per Tristano e Isotta, per Romeo e Giulietta… L’incontro di due anime gemelle rischia di rendere la coppia “sterile”, perché l’uno basterebbe all’altra e viceversa, col risultato che entrambi cadrebbero nell’inevitabile chiusura al mondo e nell’impossibilità di perseguire fini evolutivi” (lo psichiatra Luigi Baldaschini). In una coppia non conta la gemellarità ma la reciprocità, come si evince dalla disciplina dei diritti e doveri reciproci dei coniugi contenuta nell’art. 143 cod. civ..
Nella letteratura, dai tempi di Dante ai giorni nostri, si trovano parole più piacevoli o romantiche per descrivere gli obblighi reciproci tra coniugi, in particolare quelli enunciati in modo prosaico nell’art. 143 comma 2 cod. civ., che non sono limiti alla libertà individuale e coniugale ma i pilastri del progetto di vita coniugale, il cui presupposto è la consapevolezza che la realizzazione di qualsiasi progetto comporta tempo e fatica. Significative le parole dello scrittore Bruno Ferrero “Una persona che ti sia fedele più di quanto lo è per la propria sicurezza. Una persona che abbracci la bellezza del sacrificio, l’abbandono della forza e il pericolo della vulnerabilità. In altre parole, una persona che vuole trascorrere la sua vita solo per crescere in quest’amore folle e pericoloso con te, e con te solo” (da “Il segreto per un matrimonio felice”).
Ancora B. Ferrero: “L’attenzione chiara, semplice, autentica all’altro è amore allo stato puro. Ed è il dono più prezioso che possiamo fare a un’altra persona”. L’attenzione è uno dei contenuti dell’assistenza morale e materiale tra coniugi di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ..
“Tutto ciò che può essere detto, può essere detto chiaramente” (il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein). Alla base dei quattro fondamentali doveri coniugali ex art. 143 comma 2 cod. civ. vi è la comunicazione, etimologicamente “insieme una prestazione, un onere, un peso”.
Incisiva la precisazione dello scrittore Alessandro D’Avenia: “La parola passione indica il trasporto verso qualcosa o qualcuno e, al tempo stesso, la capacità di soffrire per quel qualcosa o qualcuno. […] Chi non ha passioni perde il senso della vita, perché non si misura mai con l’amore e finisce con l’annoiarsi. Passione non coincide con piacere, ma con amore: se non siamo disposti a impegnarci e patire per qualcosa o qualcuno, non l’amiamo”. Molte coppie falliscono e molti amori finiscono perché non si dà lo stesso significato a passione e non si ha lo stesso senso delle passioni.
L’amore tra un uomo e una donna non può essere esclusivo o occlusivo altrimenti diventa asfissiante, arrancante sino all’essere agonizzante, ma deve essere inclusivo in modo tale che ci sia un passaggio del testimone nella staffetta della vita. L’amore non è qualcosa di astratto, che va e viene, è sentirsi legati (obblighi), reciprocità, assistenza, quello che giuridicamente (etimologicamente il diritto congiunge) è disciplinato per i coniugi nell’art. 143 cod. civ..
Anche Rainer Maria Rilke: “[…] l’amore che consiste in questo: che due solitudini si proteggano, si limitino e si inchinino l’una innanzi all’altra” (da “Lettere a un giovane poeta”): così l’assistenza morale e materiale tra coniugi, di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ.. Si trascura l’amicizia coniugale dimenticando quella che può sembrare una tautologia: amore nell’amicizia, amicizia nell’amore. Colui o colei che si ha accanto nella vita non è accompagnatore o accompagnatrice, ma compagno o compagna di vita. Quando si fa un viaggio insieme non lo si fa solo per usare lo stesso mezzo di trasporto (per motivi di opportunità o convenienza reciproca per economizzare le spese), ma perché si condividono la gioia e la fatica di farlo, il motivo per cui lo si fa, la meta da raggiungere, il condividere quello che diventerà un ricordo comune e quindi comunicazione. Questo anche il senso di quel “contribuire” di cui all’art. 143 comma 3 cod. civ..
In un altro testo si legge di Rilke: “L’essenza dell’amore non è in ciò che è comune, è nel costringere l’altro a diventare qualcosa, a diventare infinitamente tanto, a diventare il massimo che gli consentono le forze”. Così l’amore di coppia, ancor di più l’amore genitoriale: non desiderare l’altro per sé ma desiderare per l’altro il meglio di sé.
“[…] nulla e nessuno ci può risarcire di ciò che abbiamo perduto, neppure coloro che sono colpevoli di quelle perdite, né quelli che direttamente o meno ne sono stati l’origine o la causa, e alla fine, quando tutti i calcoli sono stati fatti e abbiamo chiaro chi ha tolto cosa e a chi e perché, […] l’unica cosa che conta è questo: che ci possiamo ancora abbracciare, senza sprecare più nemmeno per un istante la straordinaria fortuna di essere ancora vivi” (da “Eva dorme” di Francesca Melandri). Assistenza morale e materiale tra coniugi (art. 143 comma 2 cod. civ.): superare rancori e rinfacci pensando a quello che è ancora vivo e si può alimentare (biofilia) e non a ciò che è perduto e può appesantire il cammino come una zavorra (necrofilia).
“Il tatto è l’ultimo dei sensi ai quali sto attento. Eppure è il più diffuso, non sta in un organo solo come gli altri quattro, ma sparso in tutto il corpo. Mi guardai la mano, piccola e tozza e pure un poco ruvida. Chissà cosa avrà sentito nella sua. Non potevo chiedere, poteva essere per sbaglio una domanda d’amore” (Erri De Luca in “I pesci non chiudono gli occhi”). Tatto e contatto è la prima forma di assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.) alla base dell’intesa sessuale di una coppia.
Il filosofo Adriano Fabris precisa: “Ci sono parole che dicono aspetti importanti della nostra vita – esperienze, incontri, emozioni – di cui rischiamo di fraintendere o, peggio, di perdere il significato. Una di queste è la parola «amore». L’amore, oggi, è confuso soprattutto con il desiderio e con il suo appagamento. Si parla di eros, di erotismo. Niente di male, ben inteso. Il desiderio è una tensione caratteristica dell’essere umano, che lo indirizza verso obiettivi importanti. Lo diceva già il filosofo Platone, cercando anche di porre rimedio a ciò che del desiderio risulta comunque un difetto: il fatto che esso non mette ordine tra i suoi obiettivi, e dunque richiede di essere guidato”. Il legislatore ha fornito una guida per l’amore coniugale (compreso il desiderio sessuale) negli artt. 143 e 144 cod. civ. e per l’amore genitoriale nell’art. 147 cod. civ..
Peculiare è la formulazione dell’art. 144 che dà la “misura” dell’amore e che è una disposizione sempre attuale. Si usa il verbo “concordare”, che è differente dallo scendere a compromessi come si usa dire, l’espressione “esigenze” e non bisogni e si dispone di tener conto delle esigenze di entrambi e di quelle preminenti della famiglia stessa, per cui bisogna cercare continuamente un equilibrio. Tutto ciò si può tradurre in “cura”.
Amare non è mettere l’altro su un piedistallo o su un trono o in una nicchia e porsi e porre tutto ai suoi piedi. Questo è idolatrare l’altro e isolarsi dagli altri, incistarsi e inaridirsi. L’amore non è (non può e non deve essere) asfissia, altrimenti diventa agenesia. L’amore è acquisire un nuovo sguardo e non diventare ciechi, altrimenti si rischia di finire in un vicolo cieco. L’amore non può essere cieco, altrimenti si prende una cantonata e, quando si rinsavisce, non si riesce a trovare una via d’uscita nemmeno per una semplice crisi e si ricorre così sempre più spesso a un terzo (dal consulente di coppia all’avvocato).
Al filosofo Robert Pogue Harrison (nel libro “Giardini. Riflessioni sulla condizione umana”, 2008), piace rappresentare che i giardini sono luoghi che rallentano il tempo. Le crescite vi hanno ritmi lenti: quello della maturazione dei frutti, della crescita degli alberi. Il giardino, sostiene così, con la sua temporalità lunga, le promesse e i giuramenti di cui vivono gli amanti. Tempo e intemperie e altra simbologia del giardino, quello di cui devono tener conto la coppia sin dall’inizio e in itinere; tempo e impegno espressi nell’obbligo reciproco di collaborazione, introdotto nell’art. 143 cod. civ. dalla riforma di diritto di famiglia.
Amare qualcuno non significa ammantare sotto una fitta coltre i suoi limiti e lacune, ma significa filtrarli, decodificarli e mediarli affinché l’altra persona vi si possa specchiare e gli altri vi si possano avvicinare senza creare incistamenti e barricate. Etimologicamente “coppia” significa essere legati, congiunti, ma non incollati o abbarbicati, perché sono due entità della stessa specie messe insieme, non a caso nel codice civile il legislatore non parla di “coppia” ma di “coniugi” per richiamare lo stato giuridico. Quando necessario bisogna perciò distaccarsi per prendere respiro e
vivere la propria identità individuale che non si esaurisce in quella di coppia. Anche in tal modo si dà contenuto all’obbligo di assistenza morale materiale ai sensi dell’art. 143 comma 2 cod. civ.. La coppia non deve essere legata da un cappio ma attingere dalla stessa fonte dell’amore senza bere dalla stessa coppa dell’amore (come già scriveva Gibran in “Il Profeta”).
“L’amore […] si perfeziona col desiderio di invecchiare insieme per consumarsi in quell’Amore che non avrà mai fine” (cit.). Coppie che durano, che restano nel tempo e che presentano e rappresentano non l’amore perfetto, ma semplicemente l’amore.