Sintesi: La mediazione, qualsiasi mediazione, da quella familiare a quella scolastica, è un’educazione o rieducazione ai “con-fini”, alle relazioni autentiche, alla trasformazione della divisione in condivisione
Abstract: Il contributo descrive i dinamismi della mediazione nelle situazioni conflittuali e non delle relazioni interpersonali
“Obiettivo della pratica della mindfulness è imparare a guardare ed accettare la realtà nel momento presente per come è, osservando in maniera distaccata i pensieri negativi e positivi e vedendoli per ciò che sono, ossia prodotti della propria mente che possono essere compresi, accettati e controllati. Tutto ciò per favorire e sviluppare nuove dimensioni di relazione con se stessi, gli altri e il mondo” (cit.). Nei casi di difficoltà personali, coniugali o familiari si fa sempre più ricorso alla mindfulness, a tecniche psicologiche e/o alle cosiddette relazioni di aiuto perché ascolto, accoglienza, comprensione, condivisione, interazione, benessere mancano sempre più nelle principali formazioni sociali ove si svolge la personalità (art. 2 Cost.), quali la famiglia e la scuola.
In ogni guerra (anche interiore o intrafamiliare) ci sono più vittime che vittorie. Il bene, prima o poi, genera altro bene: bisogna perseverare nel coltivarlo. Occorre promuovere, perciò, la “cultura della mediazione e la mediazione come cultura”, come si ricava altresì dal Piano nazionale per la famiglia (adottato il 10 agosto 2022).
“Si parla spesso di confini: il rimando più frequente è quello ai confini dei paesi, ma la parola confine si utilizza anche per descrivere lo spazio di azione di ogni individuo. Se non ci sono confini nelle relazioni che viviamo, rischiamo di perdere la nostra identità. Allo stesso tempo il confine può diventare un elemento che divide e contrappone, quasi come un muro: in questo modo chi ci incontra non entra in relazione con noi, ma si scontra col muro che abbiamo costruito. Per vivere relazioni autentiche, i nostri confini devono diventare soglie, che possano essere superate così da trasformare le divisioni in condivisioni. È solo grazie all’altro che possiamo crescere come persone: imparare a camminare insieme per costruire un mondo migliore” (cit.). La mediazione, qualsiasi mediazione, da quella familiare a quella scolastica, è un’educazione o rieducazione ai “con-fini”, alle relazioni autentiche, alla trasformazione della divisione in condivisione. Quello di cui hanno bisogno tutti, in particolare le nuove generazioni. Infatti, pure nel Piano Nazionale per la famiglia del 2022 si prevede di “Realizzare nelle scuole l’educazione a modelli positivi di comunicazione, mediazione e gestione dei conflitti”.
Il filosofo Bertrand Russell scriveva: “Quando incontri un’opposizione, anche se si tratta del tuo partner o dei tuoi figli, cerca di superarla con la discussione e non con l’autorità, perché una vittoria ottenuta con l’autorità è fittizia e illusoria” (nel messaggio alle future generazioni, 1959). “Discutere” deriva etimologicamente da “scuotere, agitare”, e significa letteralmente “agitare ad una ad una le idee o i vari punti di una questione, onde ne scaturisca la verità”. E la discussione è proprio uno degli elementi che mancano oggi nella famiglia (perché si è solitamente presi dal proprio cellulare o da altro) ed è quella che si cerca di recuperare in alcuni setting come, per esempio, in quello della mediazione familiare. Nella stanza (o nel setting) della mediazione familiare: si colgono la sofferenza e le difficoltà dei membri della famiglia, si comprendono le disfunzionalità/funzionalità dei rapporti reciproci, si costruisce un ponte per una nuova comunicazione e collaborazione, si concretizzano nuovi corsi e percorsi della vita familiare, seppure non più tutti insieme.
“Quante volte litighiamo! E si può addirittura correre il rischio di non parlarci mai più, magari a causa di inezie. [...] Mantenere le porte del nostro cuore sempre aperte e donarci l’opportunità salutare di abitare gli uni nello sguardo degli altri, senza bisogno di difesa. Sempre, daccapo, contenti di ripartire” (cit.). Quante volte la vita di coppia, la vita in famiglia è caratterizzata da porte sbattute, dal chiudersi in camera, dal cambiare la serratura della porta d’ingresso, ma al tempo stesso si ha la forza (o bisogna averla) di lasciare uno spiraglio aperto. Laddove non vi sia questo spiraglio ci si rivolge a qualcuno per costruire un ponte verso l’altro, con l’altro: le relazioni d’aiuto, che rispondono ai principi costituzionali, in primis a quelli dell’art. 2 Cost. e specificatamente a quello della solidarietà. “Solidale”, in meccanica, si dice di oggetto o elemento di un dispositivo o di una struttura collegato rigidamente a un altro, che è il sistema di riferimento: e di questo stesso meccanismo interpersonale si riprende coscienza in seno alla relazione d’aiuto.
Anche Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, scrivono: “Possiamo litigare, ma poi perdonarci; possiamo perdere la sintonia, ma poi risintonizzarci; possiamo allontanarci, ma poi riavvicinarci. Posso provare a costruire sempre nuovi ponti senza aver paura di perdonare o di chiedere scusa”. Nella coppia e nella famiglia è insita una capacità di “mediazione naturale” (quel rapporto tra generi e generazioni di cui si parla nel Piano nazionale per la famiglia), ma nel caso si dovesse “perdere la bussola” sarebbe il caso di rivolgersi a terze persone competenti, tra cui gli esperti di mediazione familiare.
Lo psicologo Enrico Vincenti si sofferma sulla famiglia in crisi: “La famiglia è fatta dai membri che la compongono. Ogni famiglia è unica. Così si mette al centro il soggetto e si può essere di aiuto al soggetto. […] La sciagura non è bella ma è una realtà. L’accaduto mette a nudo il soggetto che si rivela per quello che è” (in un webinar dell’11-07-2024). La famiglia non è un’entità astratta, è fatta di persone, singole e in relazione tra di loro. In caso di crisi o altro problema bisogna considerare e aiutare prima la persona per arrivare, poi, all’intera famiglia, come si era prefissa la legge 29 luglio 1975 n. 405 “Istituzione dei consultori familiari” e come si opera nelle relazioni di aiuto, in primis nella mediazione familiare.
La separazione non è un fallimento, è un momento, una realtà per quanto triste, una trasformazione della relazione, ma comunque una relazione. Bisogna maturare quella consapevolezza che porti a una “buona separazione”, non conflittuale, non distruttiva per sé e per le altre persone coinvolte. E la mediazione familiare favorisce la “buona separazione”. Quella “buona separazione” che non è detto sia stata favorita dalla legge 6 maggio 2015 n. 55 “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”, istitutiva del cosiddetto “divorzio breve”, legge ritenuta “una grande conquista di libertà e cultura”. I tempi accorciati del divorzio consentono di sciogliere prima i vincoli e lo stato civile, ma non consentono la cura adeguata delle relazioni e dei sentimenti in via di evoluzione, anche nei confronti dei parenti e degli affini. Quella cura che rappresenta, invece, una più autentica forma di libertà (interiore) e cultura (della pace) e di educazione relazionale per tutti.
Lo scrittore tedesco P. Thomas Mann spiegava: “Il tempo raffredda, il tempo chiarifica; nessuno stato d’animo si può mantenere del tutto inalterato nello scorrere delle ore”. Questa è la consapevolezza cui si viene condotti nelle relazioni d’aiuto. Il tempo come dimensione umana di cui riappropriarsi e non farsi prendere dall’impeto e dall’esagitazione della conflittualità. Tempo in cui coltivare e custodire tutto ciò che è caro, in primis i bambini. In questo non giovano né i tempi lunghi della giustizia nelle aule giudiziarie né i tempi brevi delle decisioni (talvolta repentine o egocentrate) degli adulti.
Nella mediazione familiare e nelle altre relazioni di aiuto ci si riappropria della dimensione del tempo e anche di quella del silenzio: si dà il proprio tempo e ci si dà tempo.
Tempo, parola polisemica, dal tempo cronologico a quello musicale, e con un’interessante origine etimologica dal greco antico “temno”, col significato di “separare”: quello che accade in se stessi e nella stanza della mediazione, durante o dopo un periodo conflittuale.
Quel tempo interiore di cui hanno diritto in particolare i bambini e di cui si parla per esempio nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, nel cui punto n. 8 è scritto: “I figli hanno bisogno di tempo per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare. I figli hanno bisogno di tempo per abituarsi ai cambiamenti, per accettare i nuovi fratelli, i nuovi partner e le loro famiglie”.