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Insegnare non è…

“Da insegnanti crediamo di avere a che fare “solo” con bambini o ragazzi. In realtà ci confrontiamo con qualcosa di molto più grande: le abitudini del mondo che i giovanissimi ricevono (non si inventano nulla) e portano ai nostri piedi attraverso azioni, parole e comportamenti. A volte ciò che portano è piacevole, edificante e spassoso, ma tante volte per nulla – anzi è irritante, frustrante e altamente sfidante. E il compito sacro ed eroico dell’insegnante è NON giudicare coloro che ci mettono in difficoltà, ma scoprire come allearci a loro, per superare le difficoltà che dal mondo stanno portando in classe, per superarle e per trasformarle. Assieme. […] il ruolo dell’insegnante è trasformare l’umanità attraverso l’agire in classe, da ciò che è a una dimensione più saggia, consapevole e felice. L’insegnante stesso – come essere umano – è parte del processo: così facendo a sua volta trasforma se stesso. Continua ad evolvere. Questo è per noi il senso più alto di educazione” (cit.). L’insegnante deve avere una propria identità d’insegnante e averne consapevolezza per contribuire in maniera sana ed efficace alla costruzione dell’identità dei discenti.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro esorta: “L’invito a esprimere sorridendo, ogni volta che è possibile, il nostro amore per i bambini e i ragazzi mira a comunicare loro benevolenza, comprensione, vicinanza da parte di chi non ha dimenticato la propria infanzia e adolescenza e quanto male abbia causato vivere con adulti sempre troppo seri se non addirittura facili a mostrare la faccia feroce”. Pedagogia del sorriso (di cui il primo fautore è stato Antonio Rosmini): accogliente, semplice, naturale, salutare, efficace, comunicativa. Favorisce il benessere del fanciullo, di cui all’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Da più parti, quasi come panacea dei problemi educativi, si invoca il cosiddetto “metodo Montessori”. “Ormai il Metodo Montessori è universalmente riconosciuto come fondamentale, e non solo in ambito pedagogico. Maria Montessori ha sempre promosso un approccio all’educazione centrato sul bambino, enfatizzando l’autonomia, la creatività e l’apprendimento autodiretto. Inoltre il suo metodo riconosce che ogni piccolo è unico perciò apprende a ritmi diversi, e che è meglio incentivare la cooperazione piuttosto che la competizione, per creare un ambiente armonioso dove il rispetto reciproco è fondamentale” (cit.). Dalla pedagogia montessoriana si ricavano principi sempre validi e attuali che non è detto che comportino l’applicazione del cosiddetto metodo montessoriano nella scuola, in particolare in quella pubblica che “è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.). Della pedagogia montessoriana sono validi i principi e il suggerimento che l’insegnante debba avere un metodo e basarsi sull’organizzazione (e non sull’improvvisazione), osservazione, ordine (e non ordini), obiettivi, orizzonti universali. 

Il pedagogista Daniele Novara dichiara: “[...] a tutti gli insegnanti che spesso hanno parecchi e giustificati momenti di amarezza, delusione e frustrazione. Esercitano una professione che non raccoglie di certo frutti immediati, ma che può consegnare agli alunni il desiderio di tirar fuori tutte le proprie risorse e con queste dare il meglio di sé nella vita”. Gli insegnanti sono “operatori o operai culturali” che seminano e coltivano e i frutti li coglierà il futuro. Sono tra gli adulti qualificati e con responsabilità che hanno il compito di preparare per il futuro, come si evince pure dall’art. 29 lettera d della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Daniele Novara aggiunge: “Le lettere che Albert Camus scrisse al suo maestro dicono tutta l’importanza di una relazione, quella tra insegnanti e studenti, che possiamo considerare, a ragione, tra quelle fondanti della vita”. L’insegnamento è più di un lavoro, è etimologicamente (riferito al titolo “professore”) professione, missione, è relazione, azione e reazione.

“Un percorso di apprendimento incentrato sul bambino è un sentiero in divenire, uno scambio continuo, una rielaborazione, un cambiamento in cui la guida accompagna il gruppo alla scoperta dell’apprendimento in modo empatico, con le parole giuste, con un approccio non giudicante” (cit.). Insegnare non è essere arrivati o arrivare in un posto di lavoro ma crescere e continuare a crescere con chi si aiuta a crescere. Non a caso nella Costituzione l’insegnamento è stato associato all’arte, alla scienza e alla libertà (art. 33), ovvero a un processo infinito, vivo e vitale.

L’insegnamento è arte, artigianato e non qualcosa di artefatto. L’insegnamento è creatività e stimolare altra creatività. “Creatività è inventare, sperimentare, crescere, assumersi dei rischi, rompere regole, fare errori e divertirsi” (l’artista e saggista Mary Lou Cook). La parola “libertà” contiene arte, ali, beati: a questo dovrebbero mirare l’educazione, l’insegnamento.

A proposito di arte a scuola, nell’ambito dell’educazione civica, si parla di educazione finanziaria, per la quale ci si può avvalere di vari mezzi apparentemente non canonici, tra cui proprio l’arte. L’arte è trasformazione e bellezza e ciò instilla speranza. La speranza è anche pianificazione, per cui bambini e ragazzi, mediante l’arte, vengono educati a vedere oltre e a organizzare le loro risorse. “I bambini hanno diritto […] ad avere un rapporto con l’arte e la cultura senza essere trattati da consumatori ma da soggetti competenti e sensibili” (art. 6 Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura).

“L’Intelligenza Emotiva è la competenza di vita che permette alle persone di capire meglio se stesse per poter capire meglio le altre e di interagire con esse per facilitare il raggiungimento di traguardi in tutti gli ambiti della vita, da quella personale a quella professionale” (cit.). La relazione (o processo) insegnamento-apprendimento è mossa dall’intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva è una delle cosiddette life skills, per cui si può dire che a scuola si deve insegnare e educare con intelligenza emotiva per educare l’intelligenza emotiva. Così si fa la differenza e si contribuisce all’istruzione di qualità. Insegnare non è solo lasciare il segno ma anche farsi segnare da tutte le 

emozioni degli alunni che si porteranno sempre nel cuore, pur non rammentandole più. La qualità degli insegnanti fa anche l’istruzione di qualità. Si ricordi che l’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è: “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

“Non insegnare musica ai tuoi alunni ma sii musica per loro” (cit.). Un insegnante “arriva” di più agli alunni se fa sentire la sua voce interiore, se trasmette la sua passione e li accompagna (e non dice loro semplicemente di andare in una direzione anziché un’altra), come un direttore d’orchestra che è innanzitutto un musicista tra musicisti. Per arrivare a bambini e ragazzi bisogna essere diretti, senza sermoni, ma parlando il loro linguaggio, non giovanilistico ma privo di fronzoli e retorica, e della loro vita.

Il 5 ottobre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale degli insegnanti, che è stata istituita per ringraziare tutti gli insegnanti che rappresentano un pilastro importante per alunni e alunne che ogni giorno affrontano le gioie e le difficoltà della propria crescita formativa e personale (perché ognuno ha o ha avuto un insegnante che ha ispirato, che ha lasciato un segno importante e che ha fatto la differenza nella propria vita) e per suscitare riflessioni sul ruolo dei “professionisti della formazione” (e non semplici impiegati del Ministero dell’istruzione), sulle sfide che fronteggiano quotidianamente, sulle non semplici condizioni di lavoro a cui sono spesso sottoposti.