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Genitori e figli, figli e genitori

Abstract: L’articolo illustra la relazione quotidiana genitori-figli evidenziando, tra l’altro, l’importanza di dire no ai figli

Solo 15 paesi nel mondo (tra cui, per fortuna, l’Italia), hanno almeno tre politiche nazionali di base che aiutano a garantire ai genitori il tempo e le risorse di cui hanno bisogno per supportare un sano sviluppo del cervello dei propri bambini: garantire due anni di istruzione prescolare gratuiti, il congedo per allattamento pagato per i primi sei mesi di vita del bambino, 6 mesi di maternità e un mese di paternità retribuiti contribuiscono a gettare le basi per uno sviluppo ottimale della prima infanzia. Mentre altri 32 paesi, in cui vive un bambino su otto di tutti i bambini del mondo con meno di 5 anni, non hanno nessuna di queste politiche. È quanto afferma il rapporto “Early Moments Matter for Every Child” (“I primi momenti sono decisivi per ogni bambino”) dell’Unicef (settembre 2017). “I primi momenti sono decisivi per ogni bambino” deve essere anche un monito e un orientamento per i genitori, che ne devono tenere conto nel loro progetto di vita di persona, di coppia, di famiglia e, soprattutto, per il figlio (e non del figlio).

Quanto sia fondamentale l’inizio della vita di un bambino, anche per la costruzione della relazione tra genitori e figli, è sottolineato dallo psicoterapeuta Alberto Pellai: “[…] il bambino ha il diritto di sapere la verità sull’inizio della sua vita. E gli adulti, che di questa verità sono i depositari, devono sentire il dovere di comunicargliela. Prima è, meglio è, perché questo gli permetterà di poter integrare nella propria identità in formazione anche questo dato, relativo alle sue origini. […] Comincerebbe a pensare di non sapere più chi è veramente lui e ad avere dubbi sulla fiducia che da sempre ha riposto nei suoi genitori. E poi, chissà quante domande lo tormenterebbero: perché nessuno ha avuto il coraggio di parlarmi di questo? Che mistero terribile potrebbe nascondersi dietro la verità mai comunicatami? Insomma, la conoscenza della verità è una condizione che tutela l’identità e l’integrità psichica del soggetto e che gli permette di pensare a sé stesso in modo sano”. Il fanciullo ha diritto “a conoscere i propri genitori ed essere da essi accudito” (art. 7 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

“Le generazioni adulte dei genitori dovrebbero domandarsi se sono capaci di aiutare i figli a spiccare il volo. Troppo spesso esagerano in precauzioni e assicurazioni preventive per evitare rischi che invece non possono non essere affrontati” (cit.). I genitori non devono tanto dare e dire cose (che restano finite e definite) quanto fornire strumenti per affrontare le non predefinite e infinite possibilità della vita (con l’esempio, l’impegno, la condivisione, le regole e altre esperienze emozionali e relazionali sempre più trascurate e da altro o altri surrogate). Devono “istruire”, costruire la struttura della personalità dei figli (o contribuire a tale costruzione). I genitori devono prendere per mano i figli, tracciare la strada, indicare la direzione e vigilare per aiutare se e quando 

necessario, come si fa nell’atto del parto. È questo il significato e il senso dei doveri genitoriali come formulati nell’art. 147 cod. civ..

L’art. 315 bis comma 1 codice civile, rubricato “Diritti e doveri del figlio”, recita: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. I figli vanno accompagnati verso la loro vita che li cambierà comunque, anche perché crescere è, per natura, cambiare. Mantenere significa (o dovrebbe significare) tenere per mano, educare è condurre, istruire è costruire e assistere è aiutare (soprattutto fermarsi e mettersi in ascolto, come si fa con le persone inferme): i genitori non devono voler cambiare un figlio come lo immaginano o lo avrebbero immaginato né modellarlo o conformarlo a schemi socioculturali. Una delle citazioni più celebri dello psichiatra svizzero Carl Gustav Jung ripete: “Se c’è qualcosa che vorremmo cambiare in un bambino, dovremmo prima esaminarla e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi”.

Se da una parte che i genitori non devono cambiare il figlio, dall’altra i genitori non devono cambiare per il figlio, al cospetto del figlio. Infatti, la giornalista Renata Maderna osserva: “Capita di osservare mamme e papà che si affannano a giustificare i propri no al bambino che dà in escandescenze per ottenere l’ennesimo regalo oppure che si rifiuta di stare seduto a tavola o, peggio, tira calci per esternare la sua rabbia. Siamo tutti forse indirettamente vittime di una lunga stagione trascorsa a volersi differenziare dalle generazioni dei genitori che senza problemi dicevano: «Si fa così perché lo dico io… è per il tuo bene». È ovvio che sarebbe assurdo tornare indietro a un autoritarismo che fa danni, e spesso nasconde l’insicurezza di chi lo esercita, ma forse dovremmo più serenamente porre ai nostri figli regole e limiti spiegandone il senso, ma con parole, toni e tempi adatti alla loro età. Poi, di fronte a capricci e scene di vario genere, val la pena di mantenere la fermezza e soprattutto di non cadere nel meccanismo “più scene fa, più cediamo”. Il rischio è di diventare ostaggio dei loro umori che, come capita talvolta, possono determinare il clima di tutto il nucleo familiare. E persino dei rapporti d’affetto più vicini. I lunghi discorsi forse danno l’illusione di essere adulti illuminati che non si fanno prendere dal nervosismo, ma val la pena ogni tanto di fare la fatica di risultare antipatici. Perché non siamo stati mandati per essergli simpatici”. Nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge che “occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” e, per questo, è necessario e doveroso da parte dei genitori dirgli anche no, perché nella vita esiste anche il no, si ricevono i no e c’è chi dice no. Il fiume ha bisogno di sponde, altrimenti esonda allagando e danneggiando le campagne circostanti e rischiando di perdere il suo corso naturale che lo porta alla meta che è l’enormità del mare.

La giornalista Maderna soggiunge: “[…] «essere una femmina» oggi, grande o piccola, madre o figlia, non è sempre così semplice e lineare in un tempo che sembra voler sbriciolare tutte le certezze, anche le più naturali, e vede sempre più spesso formarsi i “partiti” di donne: quelle che lavorano fuori casa contro le casalinghe, quelle che hanno i figli contro le single, quelle che hanno studiato e quelle che hanno rinunciato. Ma tocca alle adulte, le mamme, e anche le nonne, raccontare una specificità che non può essere tagliata a fette”. Nei confronti delle figlie femmine i doveri dei genitori, di cui agli artt. 147 e 315 bis cod. civ., si devono esplicare anche nel far emergere ed esprimere la specificità femminile (e non specialità che è di tutti e di ciascuno) e nell’educare e educarsi tutti in famiglia a quella specificità.

A proposito dei “veri” bisogni dei figli e della costruzione della quotidianità genitori-figli, il pedagogista Daniele Novara spiega: “[…] la colazione in tutte le diete sarebbe il pasto principale. Peccato che, se vogliamo lo diventi davvero, dieci minuti non bastano. I bambini hanno bisogno di un tempo più dilatato, di sentire l’importanza del momento, se possibile condiviso da tutta la famiglia. Preparare il tavolo della colazione prima di andare a letto può risultare utile, così come ritualizzare con tazze e posate specifiche scelte dai bambini stessi”. I bambini hanno bisogno di riti, di riempire il tempo e personalizzare lo spazio, di avere punti di riferimento nell’arco della giornata e nel loro immaginario, a cominciare dalla prima colazione, per la loro crescita e per il loro benessere. Di questo devono tener conto sempre i genitori sia in costanza di matrimonio sia oltre il matrimonio. “I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore” (art. 316 comma 1 cod. civ.).

Al di sopra di tutto, “I genitori ritornino a essere educatori, non «complici» o «compagni» dei figli, imparando a proteggerli da questa visione commerciale, che ruba i loro sogni e li priva del futuro” (la sessuologa belga Thérèse Hargot in “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, 2017). I genitori devono riappropriarsi della soggettività e della “funzione sociale” loro attribuita, in maniera inequivocabile, dall’art. 30 comma 1 della Costituzione.

Operato dei genitori: attività o funzione che concorra e concorre al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.).