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Vita di coppia, la coppia nella vita

Sintesi: L’altro, proprio come accade a noi, nutre il bisogno di essere lasciato libero di essere se stesso

Abstract: Il contributo mette in evidenza, anche alla luce di noti riferimenti normativi e codicistici, il dinamismo che attraversa ogni coppia nel suo stare insieme

“[…] nel nostro Paese la crisi dei matrimoni (e in parallelo la crisi delle nascite) è figlia di una crisi più ampia: quella delle giovani generazioni, per le quali da molti anni il processo di transizione all’età adulta è lungo e travagliato, irto di ostacoli e difficoltà, quando invece dovrebbe essere favorito e incentivato. Nella società più gerontocratica d’Europa (la nostra!), i giovani sono stati “depotenziati”, espropriati di alcune importanti prerogative, e perciò gradualmente deresponsabilizzati. Le conseguenze di questa situazione, frutto sia di precise scelte (o non scelte) politiche, sia di una diffusa cultura troppo protettiva e accondiscendente, conducono sostanzialmente a quella che possiamo chiamare la generazione del rinvio, ad una autentica sindrome del ritardo che tende a far rimandare, a procrastinare tutte le scelte più importanti e significative della propria esistenza, tra cui in primis il matrimonio e il dare vita ad una famiglia stabile e feconda. Che fare? […]. Come ha scritto con mirabile sinteticità il demografo Massimo Livi Bacci, «La sindrome del ritardo significa anche poche possibilità di farsi strada nelle scale gerarchiche, nella politica, nel lavoro, nella società. Si usa dire che occorre investire sui giovani, ma più che investire, occorre “potenziare” i giovani, metterli in condizione, cioè, di contare e di decidere»”. È questa l’analisi che, fra i tanti, il sociologo Pietro Boffi ha fatto della pluridecennale crisi del matrimonio, della famiglia e non solo (in “Il matrimonio può attendere… I perché di una crisi” del 27-02-2019). Gli adulti contemporanei tendono a essere immaturi, giovanilistici, deresponsabilizzati, alla ricerca ancora di quello che “vogliono fare da grandi”, sottraendo così il presente e il futuro alle nuove generazioni e condizionandone le scelte con il loro esempio e così i giovani sono presi dalla “sindrome del ritardo”. Crescere (che ha la stessa origine etimologica del verbo “creare”), invece, è fare delle scelte, prendersi degli impegni, affrontare con impegno, mantenere un impegno, assumersi delle responsabilità, dare risposte coerenti o pertinenti.

Il matrimonio o la convivenza o altra relazione stabile di coppia è una scelta - da “eleggere, separare la parte migliore dalla peggiore” - fondamentale perché porta cambiamenti e coinvolge più sfere e più persone, un progetto di vita, un connubio di considerazione e rispetto (dal verbo latino “respicere”, “guardare indietro”, per cui si riferisce a “sguardo”, significato confermato ancor di più dall’esistenza dei neuroni specchio), un percorso di amore e non (o non solo) un traguardo o coronamento. Occorre che si sia educati alla maturità e alla consapevolezza di ciò - anche nell’ambito dell’educazione all’affettività -, come si ricava da varie locuzioni normative 

tra cui un inciso del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società ed allevarlo nello spirito” e la lettera a dell’art. 29 della Convenzione, “promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità”.

Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, evidenziano: “[…] vedere le diversità dell’altro come opportunità per noi per conoscere, imparare, apprezzare qualcosa di nuovo e che non ci appartiene e ancor di più come un’opportunità per amare l’altro per ciò che è veramente e non perché ci gratifica o corrisponde alle nostre aspettative. L’altro, proprio come accade a noi, nutre il bisogno di essere lasciato libero di essere se stesso. Non è possibile amare senza tenere conto di questa profonda legge dell’amore. Ma, allora, come mantenersi coppia seppur nella diversità? Innanzitutto ci viene da dire che dovremmo vegliare affinché la diversità non diventi distanza”. Nel codice civile si parla di coniugi e non di coppia ed una delle disposizioni più significative, che rimarca la differenza soggettiva dei coniugi a fondamento della coppia e della famiglia, è l’art. 143 comma 3 con il suo incipit incisivo “Entrambi i coniugi sono tenuti”. L’altro/a non è né la dolce metà né l’anima gemella. L’altro ha una propria identità e delle qualità personali che lo contraddistinguono e che sono proprie quelle che fanno innamorare e, non a caso, l’errore sull’identità e sulle qualità personali è tra le cause di nullità del matrimonio (art. 122 cod. civ.).

“Siamo soliti fare il controllo alla nostra auto, alla caldaia, perché escludere proprio quello sulla relazione di coppia, che dovrebbe essere più importante di tutto il resto? Informarsi e cercare di migliorare la relazione con il proprio partner dovrebbe essere il primo dovere di ogni persona sposata” (Aldo Vincenzo Delfino, presidente dell’AAF, Associazione Aiuto Famiglia Onlus). L’assistenza morale e materiale tra coniugi (art. 143 comma 2 cod. civ.) è fatta di piccole cose che producono grandi effetti. Prima ancora di farsi aiutare da specialisti, bisogna farsi aiutare dall’altro coniuge per comprendere come possa ricevere e percepire efficace ed effettiva la forma di assistenza coniugale che gli si pone o porge. Il taciuto o il temuto non fa che allontanare e, a volte, irreparabilmente.

Un altro elemento su cui riflettere è la gelosia. Si parla della gelosia degli uomini nei confronti delle donne, ma non di quella delle donne nei confronti degli uomini, nei confronti del loro passato, della famiglia d’origine, delle altre figure femminili di riferimento. E così cala il gelo in quelle relazioni (anche tra affini o parenti) che dovrebbero essere le più significative e vive. Essere coppia non significa appartenersi ma far parte l’uno della vita dell’altra, educarsi reciprocamente all’amore, crescere continuamente nello stesso amore. Questo divenire sostanzia anche il dovere coniugale dell’assistenza morale e materiale, uno dei più “difficili” da adempiere e la cui mancanza è una delle principali cause della crisi di coppia.

Il pedagogista Daniele Novara scrive: “[…] la coppia sotto lo stesso tetto, che ha diritto e bisogno di guardarsi negli occhi, di riconoscersi e vivere una storia d’amore. Come fare? Occorre prendersi con regolarità un momento tutto per sé lasciando i figli ai nonni, alla tata, alla baby sitter. Si può andare a cena, al cinema, a una mostra, a fare una passeggiata. Ritagliarsi il tempo necessario alla manutenzione del proprio rapporto di coppia senza lasciarlo al caso, senza lasciare che la routine familiare affondi la costruzione della vita coniugale”. Non ci si deve sposare con la riserva mentale “tanto c’è il divorzio” o “finché dura l’amore”, ma con la consapevolezza piena e lucida che la crisi può essere dietro l’angolo, che cambiare è naturale, che non si deve pretendere di cambiare l’altro o cambiare per l’altro, perché lo vuole l’altro, ma piuttosto cambiare insieme all’altro. Per questo è necessario concordare l’indirizzo della vita familiare di cui all’art. 144 cod. civ., che è l’articolo intermedio letto durante il rito del matrimonio proprio per sottolineare la necessità di bilanciamento tra i singoli coniugi (art. 143 cod. civ.) e la presenza di figli (art. 147 cod. civ.).

Daniele Novara aggiunge: “Troppi genitori alla nascita dei figli smettono di essere coppia e diventano semplicemente papà e mamma. Tutto finisce col ruotare attorno ai piccoli. Si immedesimano a tal punto nella loro vita che perdono ogni momento di intimità esclusiva. Sembra mancare proprio lo spazio per fare qualcosa da soli. Non riescono più a uscire o a fare un weekend in due, perché devono esserci sempre. A poco a poco la coppia non si riconosce più. Anche la sessualità ne subisce le conseguenze: il lettone è stato letteralmente occupato dai figli! È scomparsa ogni privacy anche all’interno della casa, perfino il bagno viene condiviso. I figli diventano sempre più esigenti e pretendono anche che i genitori guardino i cartoni animati. Il poco tempo che resta non viene dedicato alla coppia, ma a giocare con loro. Ma fa bene tutto ciò ai figli? Direi di no. Hanno bisogno di genitori che attraversino la loro esperienza sentimentale come qualcosa di positivo da trasmettere e testimoniare”. Tra gli indici normativi da cui si ricava che la coppia coniugale si deve mantenere distinta da quella genitoriale c’è quello dell’art. 147 cod. civ. che, nonostante le novelle legislative dal 1975 in poi, ha conservato la locuzione “ambedue i coniugi” e non riporta, invece, il riferimento a “genitori”. Si parla di “genitori” negli artt. 315 bis e ss. cod. civ. e si specifica, all’uopo, “entrambi i genitori”.

“Ogni coppia, per tenere bello il suo matrimonio, dovrebbe avere il decalogo della sua gioia, l’elenco delle cose che fanno bene alla coppia. Gli atti costruttivi vissuti in passato, da non dimenticare, da ripetere, da cui imparare” (don Fabio Rosini). Per dare contenuto e senso al “concordare tra loro l’indirizzo della vita familiare” di cui all’art. 144 cod. civ., i coniugi potrebbero “contrarre” un decalogo della gioia o altro decalogo considerandolo non come un’apposizione di limiti o paletti ma come indicazioni per l’orientamento, istruzioni per l’uso o una sorta di gioco del domino: “con-senso”. 

Vita di coppia (coniugale o genitoriale) non è vita da fotocopia ma in due, l’uno per l’altro.