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L’articolo 143 del codice civile nella quotidianità

Sintesi: Il rapporto di coppia non è una simbiosi ma un’osmosi

Abstract: L’articolo cerca di delineare gli aspetti giuridici e metagiuridici del “giogo dell’amore tra coniugi”

“Amore: anche se non provo più qualcosa per te, posso amarti con intelligenza e volontà. L’amore si può imparare” (lo psicologo Ezio Aceti in una lectio magistralis a Matera, il 9 ottobre 2023). L’amore (che è cosa diversa dalla passione o dal sesso) duraturo è possibile se si fa il proprio possibile di giorno in giorno e insieme. Nella buona e nella cattiva sorte è possibile se ci si impegna e ci si sostiene a vicenda essendo consapevoli che l’autunno della vita e le anomalie non si possono evitare ma affrontare insieme.

Vita di coppia: non rinunce ma rispetto; non compromessi ma comprensione; non sopportazione ma sostegno; non conformazione all’altro ma conforto dell’altro e nell’altro; non attrazione ma attenzione. Così è un sacrificio d’amore e sacralità dell’altro e non un sacrario dell’amore e sacrilegio dell’altro. L’amore non deve essere alienante ma allenante, non allagante ma allargante. L’amore non è un equilibrio ma un’omeostasi, una continua ricerca e regolazione, propria e reciproca. Solo da un sano amore di coppia può nascere un sano amore genitoriale e i principi da darsi e seguire sono quelli indicati nei tre articoli letti nel rito del matrimonio, artt. 143, 144 e 147 cod. civ., in particolare nell’art. 143 comma 2. L’art. 143 cod. civ. pone i pilastri della vita di coppia che ciascuna coppia può modulare in base alla propria autonomia privata (art. 144 cod. civ.).

In amore è un continuo incontrarsi, come dal primo sguardo, dal primo contatto, come nel rapporto sessuale. Non è corretto parlare di compromessi perché richiama il mercanteggiare e, alla fine, si rimane compromessi (caricandosi di una zavorra di recriminazioni). Tutto ciò che è umano è difficile ma non impossibile (come l’imparare a camminare) e il difficile comporta scelte e impegno. Non bisogna precludersi e precludere, deresponsabilizzarsi o trincerarsi dietro scuse o altro, altrimenti così comincia l’inghippo. Bisogna, invece, partire e poggiare tutto sul rispetto, perché se si sbagliano le premesse allora sì che si vacilla!

Anziché “lista nozze” e “viaggio di nozze” è (o sarebbe) bello testimoniare come il matrimonio possa essere una “lista” e un “viaggio” nella sconfinata quotidianità di situazioni ed emozioni. Amore di coppia non è dirsi “ti amo” in ogni tempo ma prendersi cura nel tempo e oltre qualsiasi contrattempo. Famiglia, casa familiare: costruire ricordi comuni in un mondo di morbo di Alzheimer generalizzato. Purtroppo sono tante le coppie “che scoppiano” e non quelle “scoppiettanti”, perché sin dall’inizio c’è l’unilateralità della preparazione della lista nozze e del viaggio di nozze corrispondendo ai sogni o progetti di uno solo. Relazione di coppia non è né dominarsi né domarsi ma donarsi. Alcuni diritti e doveri reciproci dei coniugi elencati nell’art. 143 cod. civ. cominciano con “co-” (collaborare, coabitare, contribuire) da “con”, dal latino “cum”, “insieme, nello stesso tempo”: insieme, seguire, accompagnare.

Il rapporto di coppia non è una simbiosi ma un’osmosi. Bisogna continuare a essere vasi comunicanti e non chiudersi in uno stesso vaso monofiore in cui il fiore reciso, per quanto bello, è destinato a morire o in realtà è già morto in partenza. Ecco perché nell’art. 143 comma 2 cod. civ. si parla, tra l’altro, di “obbligo reciproco”, “collaborazione nell’interesse della famiglia” e di “coabitazione” proprio perché i coniugi continuano e devono continuare a essere due nell’unità e verso l’unità.

Edoardo e Chiara Vian, corroborati dalla loro esperienza di coppia e di supporto alle famiglie in difficoltà, si rivolgono alle coppie: “Andate a scuola di tenerezza. Imparate a riconoscere la vostra povertà, la vostra limitatezza. Constatate che non siete come vorreste essere, ma amatevi lo stesso. Abbiate tenerezza per le vostre fragilità (tenerezza, non indulgenza!). Questo vi aiuterà ad averne per l’altro, il quale (ricordatevelo sempre) non è accanto a voi per gratificarvi, ma per farvi crescere nell’amore”. Tenerezza (viene dal latino tenerum, che significa “di poca durezza, che acconsente al tatto”, dunque “sensibile”) per sé e per l’altro è uno dei contenuti da dare all’obbligo coniugale all’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.), è avere tatto e contatto, avvertire i limiti e non giustificarli ma lavorarli nel crogiolo dell’amore. La tenerezza, a volte, è sconosciuta o trascurata perché richiede “misura” come negli ingredienti di una ricetta culinaria, in particolare nella preparazione dei dolci in cui bisogna saper dosare quel q.b. di sale per esaltare il dolce. La tenerezza è la via di mezzo tra l’ardore degli inizi di una relazione e il grigiore dell’appiattimento quotidiano, è manifestare il tenerci a qualcuno, è il “manu-tenere” la relazione.

I coniugi Vian aggiungono: “Azzerate sempre il contachilometri. La relazione di coppia richiede di iniziare infinite volte. Fate tesoro degli errori, delle incomprensioni e sappiate perdonare voi stessi e l’altro (nella consapevolezza che il perdono è un’esperienza, un viaggio e non un singolo atto di volontà). Ogni giorno è una nuova partenza, in un certo senso un «altro matrimonio» (con la stessa persona!) da celebrare ancora e ancora”. Il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 ha spostato l’obbligo di assistenza dall’ultimo posto al secondo (art. 143 comma 2 cod. civ.) aggettivandolo con “morale e materiale” (si noti prima “morale”), anche perché essere coniugi (o conviventi more uxorio) è accorgersi dell’altro, accostarsi, essere accorti, volgergli lo sguardo, porgergli una mano per farlo rialzare da un’eventuale caduta e riavviarsi, pure se con passo claudicante, e continuare a rincontrarsi. Come si esprime la volontà di sposarsi così si può (e ci si deve impegnare a) manifestare la volontà di continuare a sposarsi per rimanere insieme.

Una delle componenti essenziali dell’assistenza morale e materiale tra coniugi di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ. è la pazienza. “Pazienza” deriva da “patire” come “passione” e altro, da empatia a compassione (altrettanto necessari in un rapporto di coppia). Pazienza e passione insieme, come nell’abbraccio, come nel tenersi a braccetto.

L’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale dei coniugi si realizza anche nella costruzione della coppia genitoriale in seno alla coppia coniugale e nella vivificazione della coppia coniugale in quanto le due dimensioni non sono coincidenti. Ci vogliono confronto, comunicazione, coraggio, coerenza, commisurazione. Il pedagogista Daniele Novara scrive: “È necessario che i genitori sappiano fare gioco di squadra non solo in funzione dei compiti educativi, ma anche dal punto di vista sentimentale, preservando spazi preziosi dedicati unicamente alla coppia”.

Coppia: quando si è in due si è soli con l’altro o si è insieme all’altro? C’è differenza tra accompagnarsi e farsi compagnia, tra stare e sostare con l’altro, tra coabitare e convivere. Quanta solitudine e quante solitudini anche in famiglia o in apparenti coppie! Per “far funzionare” una coppia occorre che ciascuno metta la propria passione e la propria arte tra similitudini e differenze (è questo il senso dell’art. 143 comma 3 cod. civ.) e non pretendendo l’uguaglianza (come una sorta di “fifty-fifty” o bilanciamento, come quando si discute sul numero delle volte in cui si va a buttare i rifiuti o si cambiano i pannolini ai figli), che è imprescindibilmente morale e giuridica (art. 29 comma 2 Cost.). Esemplari la danza classica con la sua grazia, la sua disciplina e l’armonizzarsi nei passi a due (la fiducia nel lanciarsi nelle prese, la forza nel fare le prese e l’equilibrio di entrambi) e la regia teatrale con il suo estro e il suo coordinamento dal vivo.

Vita di coppia: l’altro non è una tessera che deve completare il quadro della propria vita che si ha in mente, ma insieme si deve realizzare un mosaico con le tessere che si hanno a disposizione. “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” (art. 143 comma 3 cod. civ.). Significativo è l’uso del verbo “contribuire” che fa venire in mente la capacità contributiva di cui si parla nell’art. 53 Cost. ed evidenzia il valore pubblico del matrimonio e della famiglia.

Coppia: completarsi a vicenda, ognuno con le proprie caratteristiche, carenze e carezze.