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Cosa fa la famiglia, cosa fa famiglia

Abstract: L’articolo si interroga sul ruolo e sugli elementi costitutivi della realtà familiare, evidenziandone l’insostituibile funzione nella vita dei singoli e della comunità

 

1. Cosa fa la famiglia

A marzo 2024 i risultati di un referendum sulla famiglia svoltosi in Irlanda, dove non sono passate le riforme della Costituzione del 1937 sulla tipologia di famiglia e sul ruolo della donna in famiglia, hanno suscitato scalpore e rinnovato le annose discussioni sulla famiglia.

 

La famiglia era ed è ogni giorno attaccata da più parti, a cominciare dalla pubblicità che propaganda solo bellezza esteriore, sesso spiccio e fatica zero. La famiglia è sempre stata problematica e privilegiata, uno spazio esclusivo e, al tempo stesso, inclusivo, un luogo che diviene, spesso, “nonluogo”, privo di una propria identità e da cui si transita solo senza fermarsi e conoscersi più di tanto.

 

La famiglia è il luogo di pre-parazione alla vita: coltivare e condividere l’amore per moltiplicarlo, il reciproco rispetto pur conservando le proprie differenze, la serena e paziente attesa, la sana autorità con cui credere, esprimere, vivere e trasmettere convinzioni e valori. Così la famiglia è “società naturale” (art. 29 comma 1 Cost.): “società”, unione di soci, compagni, coloro che seguono, che accompagnano, “naturale”, dal verbo nascere e, quindi, capacità di generare.

 

Molto interessante la rappresentazione grafica adottata dalle Nazioni Unite per ogni azione sulla famiglia: all’interno di un cerchio, verde scuro (come gli alberi sempreverdi), ben definito a rappresentare il mondo, è rappresentato “un cuore coperto e protetto da un tetto, collegato ad un cuore più piccolo, a rappresentare la vita e l’amore in una dimora dove ciascuno trova calore, cura, sicurezza, unità, tolleranza e accettazione […]. Il disegno è aperto, a significare che la continuità è collegata ad una certa dose di incertezza. Il colpo di pennello che completa la parte aperta del tetto sta a simbolizzare la complessità della famiglia” (cit.). Famiglia e casa, famiglia è casa: tetto e affetto, appartarsi ma al tempo stesso aprirsi, tratti comuni con altre famiglie e proprie peculiarità.

 

Una delle tante novità introdotte dalla riforma del diritto di famiglia nel testo degli artt. 143 e ss. del codice civile è l’espressione “bisogni della famiglia” nel 3° comma dell’art. 143. La famiglia non è quella dei propri sogni o per realizzare i propri sogni ma quella che si costituisce e si vive nella quotidianità ed esprime la sua esistenza ed essenza. Nel testo previgente, invece, prevaleva una mentalità più “individualistica” per cui si diceva che “il marito è il capo della famiglia” (art. 144 cod. civ. fino al 1975) e “ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione alle sue sostanze” (art. 145 cod. civ. ante 1975). La famiglia non è intesa più come una sistemazione personale ma un sistema interpersonale e intrapersonale.

 

Il sociologo Pietro Boffi scrive: “Le famiglie, con i loro legami, i loro progetti di vita, la loro funzione riproduttiva, educativa, di trasmissione di valori, infatti non sono un optional. Sono lo snodo fondamentale attorno al quale si generano le identità e i progetti di vita dei singoli, e la capacità di tenuta di tutto il sistema, anche nei suoi risvolti socio-assistenziali. Il loro venir meno, il loro essere ridotte a micro-unità, rende estremamente difficile, se non impossibile, l’esercizio di queste funzioni. Pensiamo semplicemente alla questione anziani: siamo il Paese, insieme al Giappone, con il maggior numero di persone anziane, delle quali si fanno carico in via quasi esclusiva proprio le loro famiglie: ma le generazioni dei figli unici come faranno?” (nell’articolo “Una su tre è single: la famiglia “Lilliput” fa bene all’Italia?” del 30-12-2019). La famiglia è scuola di vita, di diritti, di solidarietà (art. 2 Cost.) e con l’aumento dei figli unici o delle famiglie monoparentali o altre situazioni simili vengono meno questi presupposti e si determinano faglie nel tessuto sociale.

 

Dal primo Rapporto internazionale del Family International Monitor (progetto di ricerca internazionale nato nel dicembre 2018 e presentato a giugno 2020) si ricava che in ogni nazione le relazioni familiari sono la più importante risorsa per affrontare le tensioni e le difficoltà interne ed esterne nella vita quotidiana delle famiglie, ma la loro importanza è ancora più decisiva per le persone più vulnerabili e marginali, a conferma della “fondamentalità” della famiglia, nonostante crisi e lacerazioni, come riconosciuta nelle fonti di diritto internazionale e dalle scienze umane e obiettivo anche dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

 

Le ferite delle famiglie “possono essere risanate se saremo capaci di rivitalizzare la comunità. Esperienze comunitarie come il cohousing, ancora poco diffuso ma ricco di potenzialità, l’impegno nel volontariato di quartiere e vicinato, l’impegno per il welfare territoriale, l’affidabilità di tante “nuove famiglie”, il supporto reciproco che si sviluppa tra coppie giovani con figli di una stessa scuola o di uno stesso quartiere, sono tutti segnali di ricomposizione del vissuto familiare su base comunitaria che, se opportunamente messi a fuoco e sostenuti, possono contribuire in maniera determinante alla ricucitura della realtà familiare ed al superamento delle sue ferite” (la sociologa Carla Collicelli, in “Dalle relazioni ferite alle relazioni risanate: la solidità dell’amore”, 2020). Se la famiglia tornasse ad essere tale si avrebbe la piena attuazione dell’art. 2 della Costituzione e si realizzerebbe la cosiddetta ecologia delle relazioni: esercizio dei diritti inviolabili dell’uomo, formazione sociale per eccellenza, svolgimento della personalità, adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.

 

Tra le tante famiglie ferite, lacerate quelle dei detenuti, come scrive Alessandra Bialetti, pedagogista sociale e consulente della coppia e della famiglia: “La perdita di una figura di riferimento importante ricade pesantemente su chi, fuori, deve lottare ogni giorno per la sopravvivenza propria e dei propri figli, su chi deve far da madre e padre a piccole vite in crescita, deve “tamponare” esigenze di ogni tipo soprattutto emotive e affettive. Un’ulteriore criticità è rappresentata dal giudizio che la famiglia di un detenuto vive sulla propria pelle. La discriminazione davanti a storie di vita così pesanti, ma anche la paura che ognuno di noi può sperimentare davanti a una realtà sconosciuta e critica, chiude l’intera famiglia in una solitudine relazionale che spesso pesa ancora di più della detenzione stessa” (in un articolo del 7 febbraio 2020). “Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò sia contrario all’interesse superiore del fanciullo” (art. 9 par. 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

 

Alessandra Bialetti aggiunge: “[...] Nel carcere si incontrano tante storie, visi che portano dentro un vissuto e che rimandano, non solo alla storia personale, ma anche a un tessuto familiare fortemente compromesso. Dietro ogni detenuto c’è un’esistenza complessa, una famiglia, legami coniugali e genitoriali. Compito del percorso riabilitativo non è solo quello di far scontare una pena e reinserire nella società ma di prendersi carico di tutto il tessuto relazionale che il detenuto porta dentro di sé. [...] Occorre quindi chiedersi come porsi in ascolto di queste famiglie senza aprirsi al giudizio e al pregiudizio. Occorre accompagnare il loro cammino, confortare, tenere i contatti anche solo con una telefonata, poche parole per trasmettere consolazione, vicinanza e coraggio. “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art. 1 legge 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”): questo diritto non deve essere trascurato in caso di bambini e ragazzi con genitore/i detenuto/i, casi in cui la comunità dovrebbe farsi ancor di più “famiglia di famiglie”. Si ricordi, tra l’altro, la formulazione dell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “Gli Stati parti rispettano la responsabilità, i diritti ed i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità, secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione”.

 

La famiglia è altresì un soggetto economico perché luogo di economia ed economie e fonte di esternalità, effetti negativi o positivi su altri soggetti, dalla scelta della scuola privata o pubblica per i figli ai costi sociali ed economici di separazioni o divorzi più o meno conflittuali. La rilevanza economica della famiglia è presa anche in considerazione nell’Agenda 2030: “Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali” (punto 5.4). Rilievo alla famiglia è stato dato pure nel 6° principio del Pilastro europeo dei diritti sociali.

 

“[…] al di là di analisi sociologiche, politiche o economiche, una cosa certa è che, in questo contesto, la famiglia soffre, tra le altre cose, soprattutto di solitudine, e se la famiglia soffre, soffrono di più gli ultimi, gli emarginati. Nessuna istituzione, infatti, può aiutare, come le famiglie, i poveri, gli orfani, gli immigrati in modo continuativo e non emergenziale” (l’avv. Vincenzo Bassi in un articolo su L’Osservatore Romano, l’8 settembre 2020). Nell’art. 29 della Costituzione si parla di “diritti della famiglia” e nelle fonti di diritto internazionale si ribadisce l’aiuto alla famiglia o la protezione della famiglia (per es. l’art. 33 par. 1 della Carta di Nizza recita: “È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale”) ma nella realtà avviene sempre meno perché la “macropolitica” è in altro occupata o preoccupata, per cui si sviluppano forme di “solidarietà interfamiliare”.

 

Lo scrittore Erri De Luca: “Gli uomini hanno inventato i minuziosi codici, ma appena c’è occasione si azzannano senza legge”. Quant’è tristemente vero soprattutto per le questioni di famiglia, dal divorzio alla divisione di un’eredità: l’uomo ha fame di amore e famiglia, tutto il resto è solo surrogato.

 

2. Cosa fa famiglia

 

“Non credo che ci si debba amare solo per fare i figli. […] Dico solo che una società che considera i figli come seconda o terza priorità, che ne fa sempre meno e non li educa nel giusto modo, non ha futuro. Privilegiare la comodità, l’egoismo, avanzare come giustificazione il costo, i rischi e la rottura di scatole rispetto alla poesia, alla tenerezza, alla faticosa dolcezza di una di una maternità e di una paternità pazienti e presenti, non è segno di maturità e coscienza adulta. […] Ho solo una tristezza immensa che mi coglie, fino a portarmi alla domanda pericolosa: se l’amore sia sempre più straniero in questa nostra società preoccupata dalla recessione, ma sempre meno impegnata ad affrontare e a risolvere la vera recessione, ovvero quella riguardante la famiglia, l’amore, i figli, l’altruismo e la capacità di relazioni profonde e autentiche”. Così don Antonio Mazzi, cresciuto senza padre e divenuto “padre” di tante generazioni con problemi di tossicodipendenza o di altra natura. Parecchi ragazzi caduti nella tossicodipendenza o altra forma di dipendenza affermano che dai genitori hanno avuto tutto, anche il superfluo, ma non quello di cui avevano bisogno, come l’ascolto, l’attenzione, il tempo, anche qualche limite. Ciò che dovrebbe caratterizzare l’amore genitoriale, l’amore in famiglia. Non sono i figli che fanno la famiglia, ma la famiglia che fa i figli.

 

Lo psicologo Simone Olianti conclude: “Essere fecondi non è solo generare vita biologica, ma coltivare la vita, custodirla e proteggerla. Ed è solo quando la nostra vita genera vita bella intorno a noi, ed è fertile per qualcun altro, che siamo davvero felici”. Essere fecondi non è concepire figli ma generare amore, quello sano e sanante.

 

“Ogni bambino ci dice a modo suo la bellezza e le ferite della vita e ci richiama così alla nostra responsabilità. La sua nascita rappresenta un’esperienza nuova per l’umanità che gli deve ciò che essa ha di meglio” (dalla Charte du BICE, Parigi, giugno 2007). Ogni bambino suscita amore e stupore (anche se non sempre è così, altrimenti non si spiegherebbero i casi di infanticidio), come quello che manifestano i genitori i figli con disabilità: “Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te” (la scrittrice Ada D’Adamo riferendosi alla figlia disabile).

 

“[...] in una famiglia, l’arrivo di una sofferenza può avere l’effetto di una bomba a mano. Di solito gli uomini entrano in una sofferenza che unisce il dolore per l’altro perduto all’incapacità di accettare di non essere il centro esclusivo delle cose. Per una donna il dolore è sempre una sfida da accettare, qualcosa da cui è impensabile fuggire” (cit.). Se l’uomo e la donna si unissero nel provare il dolore, o almeno lo convogliassero, sarebbe l’estrema, o forse la più sublime, forma d’amore: anche questa è una forma di assistenza, innanzitutto morale (art. 143 comma 2 cod. civ.).

 

Lo scrittore francese Pierre-Marc-Gaston de Lévis: “Il segno che non si ama più lo si ha quando i sacrifici cominciano a costare; il segno che si ama poco lo si ha quando ci si accorge di farne”. Quando in una coppia o in famiglia si parla in termini di sacrifici e rinunce significa che non si è compreso il senso e il linguaggio dell’amore. Quello che si fa è una scelta nella libertà e responsabilità: questo è l’amore.

 

Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, spiega: “Si deve al grande etologo austriaco del secolo scorso Konrad Lorenz la scoperta dell’imprinting, termine inglese che sta a indicare una forma di apprendimento precoce che fa sì che l’animale poche ore dopo la nascita riceva una sorta di impronta dal primo oggetto in movimento che compare nel suo campo visivo. Ne resta «impressionato» e non può fare a meno di seguirlo, corteggiarlo e restargli legato, assumendo tutti i suoi comportamenti. Lorenz addirittura si era immerso in un lago e aveva fatto in modo che allo schiudersi delle uova gli anatroccoli vedessero per prima cosa la sua massiccia figura. Così era stato e i piccoli avevano continuato ad andargli dietro, al punto che una volta che il ricercatore introdusse nel lago la vera madre biologica, si rifiutarono di seguirla. Questo tipo di apprendimento segue, però, regole ben precise e può verificarsi soltanto in quelli che sono definiti «periodi sensibili» che spesso si consumano nell’arco di pochissimi giorni”. I primi giorni di vita e soprattutto alcuni momenti sono fondamentali perché i bambini hanno bisogno di cure che sono la manifestazione massima dell’amore gratuito. Esplicativo in tal senso l’art. 4 della Carta dei diritti del bambino natoprematuro (2010): “Il neonato prematuro ha diritto al contatto immediato e continuo con la propria famiglia, dalla quale deve essere accudito. A tal fine nel percorso assistenziale deve essere sostenuta la presenza attiva del genitore accanto al bambino, evitando ogni dispersione tra i componenti il nucleo familiare”. L’amore è un bisogno umano, un’esigenza vitale per ciascuno, ancor di più per i bambini, per i neonati. Nelle fonti normative si è parlato di “bisogno di amore” per la prima volta nell’art. 6 della Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), oggi se ne parla diffusamente (anche in “carte” e documenti vari stilati da psicologi e altri esperti) tanto che si può profilare un diritto d’amore (il giurista Stefano Rodotà).

 

L’art. 8 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia recita: “[…] il diritto del fanciullo di conservare la propria identità, nazionalità, nome e relazioni familiari”. Si noti che in quest’articolo si usa il verbo “conservare”, con tutta la pregnanza che può avere, e la successione dei diritti si conclude con “relazioni familiari”, che ha una portata più vasta e profonda di “famiglia”. Quest’articolo è da leggere alla luce di quelli precedenti e in particolare dell’art. 3 ove si enuncia, tra l’altro, l’interesse superiore del fanciullo. Così nel procedere all’affidamento o all’adozione di un bambino. La psicologa Rosa Rosnati: “Il bisogno del bambino ha tempi che possono anche non essere i tempi di cui un adulto può avere bisogno per fruire di un percorso o di un programma, penso ad esempio a un programma di cura nel caso di una dipendenza… a volte questi tempi non corrispondono ai tempi del bambino, che restano però prioritari. Inoltre si investe troppo poco per la prevenzione, troppo poco per diffondere l’affido e per sostenere le famiglie affidatarie, troppo poco per sostenere le famiglie adottive. L’affido e l’adozione hanno una valenza sociale che merita di essere sostenuta, mentre la risonanza che episodi di cronaca come quello della Val d’Enza [cosiddetto “caso di Bibbiano”] hanno sull’opinione pubblica purtroppo rischia di offuscare questa valenza sociale. Teniamo presente che ad oggi ci sono in Italia circa 15mila minori che vivono in comunità: molte sono ottime, ma anche in quel caso la comunità può andar bene per periodi brevi o in emergenza ma non può essere il luogo dove un bambino può crescere. Il bambino per crescere deve poter sperimentare un legame di attaccamento sicuro. L’appello allora è per valorizzare forme di affido anche più fluide, che ad esempio permettano a un bambino di trascorrere il pomeriggio o il weekend o le vacanze nella famiglia affidataria, sperimentando legami famigliari solidi e di lungo periodo. Lo chiamano “affido leggero” ma è leggero solo in termini di tempo perché la valenza psicologica per il bambino è tutt’altro che leggera” (in un’intervista del 17 luglio 2019). Ogni figlio in famiglia dovrebbe essere considerato in “affido leggero”.

 

“A vederla luccicare tra le colline sulla stradina di campagna, la giardinetta rossa piena zeppa di bambini – bambine nella fattispecie – sembrava venir fuori da una di quelle scene di famigliole felici che, appena possono, i pubblicitari infilano nei loro filmati. Eppure, nella macchina mancava la mamma […]” (lo scrittore Gaetano Cappelli). Esistono molte famiglie monogenitoriali anche in presenza di entrambi i genitori, a danno dei figli, nel presente e per il futuro: coniugi separati in casa; genitore cui non si fa o che non sa esercitare la propria distinta funzione genitoriale; omologazione o duplicazione della figura genitoriale (con eclissi del padre) e altro ancora (sempre attuale sui figli alla mercé delle scelte dei genitori il film drammatico “I bambini ci guardano”).

 

Infine il sociologo Boffi sottolinea: “Non si tratta di essere più o meno catastrofisti, ma di guardare in faccia la realtà. E domandarsi: una società in cui le famiglie che l’Istat tecnicamente definisce “unipersonali”, e che qualcuno già chiama “famiglie single”, sono ormai un terzo del totale e – se le tendenze che abbiamo delineato non subiranno un deciso cambio di rotta – sembrano destinate a diventare la maggioranza, può ancora stare in piedi? La frammentazione della popolazione che emerge dai dati sarà in grado di reggere il tessuto economico, sociale, civico che finora – bene o male – ha retto il nostro Paese?” (nell’articolo del 30-12-2019). La famiglia non può essere definita unipersonale o single perché viene meno la sua essenza (o funzione) come le è riconosciuta dalla Costituzione (artt. 29-31), dagli atti internazionali e dalle scienze umane in generale. La famiglia ha una identità o configurazione distinguibile e riconoscibile dall’esterno che è principalmente quella di essere finalizzata alla procreazione (nel senso lato di generatività) e alla protezione dei suoi membri, dimensioni che non si possono attribuire alle famiglie monopersonali. Quelle peculiarità che si evincono esplicitamente pure dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e che sono avvalorate dalla sfida e dal coraggio delle cosiddette famiglie ricostituite e ricomposte.

 

Il saggista Goffredo Fofi evidenzia: “E quanti oggi soffrono davvero di questo sentimento di inadempimento, di non essere all’altezza, di non fare tutto quel che si dovrebbe fare per combattere i mali del mondo, per attenuarne la forza? La società odierna mira a tutt’altro, mira a deresponsabilizzare, ad accentrare il senso di colpa sul privato famigliare e sessuale, a eliminare quell’altro, che è certamente di ostacolo al dominio dei pochissimi sui tantissimi. Viva dunque i sensi di colpa, viva la paura del rimprovero, se collocati al posto giusto nei nostri sentimenti, e richiamo alle nostre responsabilità”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia vi è un richiamo alla responsabilità sin dal Preambolo: “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”. Deresponsabilizzarsi e fare a scaricabarile tra i due genitori, tra famiglia e scuola, tra i vari ordini di scuola e così via è un’appropriazione indebita della vita dei bambini e degli altri.

 

Un sociologo americano: “Le nuove idee hanno bisogno di antichi luoghi”. “Antico”, “che sta prima, che sta dinanzi”, e “luogo”, “spazio che un corpo occupa o può occupare”: locuzioni dense di significati. Le singole vite e in particolare le nuove vite hanno bisogno di antichi luoghi: le famiglie.